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Talento estremo

di Cristiano Cavina

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Un racconto di Cristiano Cavina

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Si innamorò perdutamente della barista della Lanterna di Palazzuolo sul Senio, dove suonavano evergreen degli anni Sessanta e Settanta ogni venerdì sera. Aveva nota-to che lei lo fissava spesso, sopra le teste dei clienti che circondavano il banco. Non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma praticamente suonava solo per lei.

Una sera, dopo la chiusura del locale, portò la ragazza in un parco oltre il fiume, e suonò per lei fino all'alba. Evocò le note come mai gli era capitato, eppure, guar-dandola di tanto in tanto, sentiva di non riuscire a raggiungerla come desiderava. Era la sua dichiarazione d'amore; gli era venuta in forma di musica, e non di parole. Alla fine, lei lo guardò con profonda tenerezza. «Ma tu, cosa ci fai ancora qui?».

Quello che Siro capì, fu che quelle parole erano un "no". Lei sembrava così triste, anche più triste di lui. «Se avessi questa cosa io - gli disse - non vi lascerei nemmeno il tempo di battere le ciglia; non mi vedreste più in un istante». Siro la guardò, incapace di comprendere nient'altro che il suo rifiuto, sordo a quello che lei si stava sforzando di dirgli; si girò lentamente e lanciò il flauto nel fiume.

Ma la musica non scomparve, come temeva da bambino. Fu lui a scomparire. Siro continuò a suonare esclusivamente in casa, chiuso in camera. Aveva smesso con il gruppo e anche con il Corpo bandistico. La musica cercò di portarlo via da quella piazza un'ultima volta. Prese le sembianze dei due responsabili nazionali dell'orchestra sin-fonica della Rai. Erano amici del suo professore delle medie, il Maestro Soglia; li aveva convinti a raggiungere Borgonero per una specie di audizione; sapeva che Siro non sarebbe mai andato a Roma per una cosa del genere. Aspettarono un'ora, al sole, in quell'angolo della piazza. Niente. Da quel momento, mentre i due responsabili dell'orchestra sinfonica della Rai se ne andavano, allargando le braccia sconsolati, la discesa di Siro Cotti si fece lentissima. Pomeriggi interminabili passati in camera a suo-nare, con la gente che poco a poco smise perfino di farci caso. Divenne un rumore di sottofondo. La magia si stava disperdendo, quella tra le sue note e le orecchie di chi stava ad ascoltarlo, come due ingranaggi che ruotano sempre più distanti, incapaci di incastrarsi e produrre movimento.
Uscì di casa solo a trentaquattro anni.

Aveva i capelli lunghi e aveva preso peso. Non aveva mai avuto una ragazza e nemmeno imparato un mestiere: aveva soltanto e-stratto musica dagli strumenti ogni ora della sua vita. Incominciò a suonare in piazza. Probabilmente era il suo modo di chiedere scusa, e per un attimo sembrò funzionare; la gente si fermava e gli chiedeva come stava, e cosa avesse intenzione di fare; era ancora così bravo. Ma lui non aveva risposte. Pensava fosse sufficiente suonare. E tornò a contemplare il distacco tra sé e gli altri, ma non c'era più l'ammirazione impaurita di quel giorno in seconda media, dopo aver suonato al pianoforte, ma una sorta di fastidio. Tutti lo guardavano in modo strano, e a lui pareva di leggergli sopra quelle parole dette da quella ragazza molto tempo prima. «Ma tu, cosa ci fai ancora qui». Lui cercava di stupirli con nuove acrobazie, alternando gli strumenti; il violino riuscì a destare un certo interesse, ma non durò più di tre giorni. Lui era sempre lì, in quella piazza. Era come essere nato con un coltello capace di tagliare qualunque cosa, quel talento per la musica che si era ritrovato addosso, e non aveva capito che andava diretto da qualche par-te, incanalato verso uno scopo, per non disperderne l'energia.

Nascosto dietro a quelle corde allentate, l'archetto mezzo rotto, dopo trentasette anni di lentissima caduta, mentre gli spazzini pulivano il selciato, si rese conto di co-me la musica stesse fuggendo per la prima volta da lui. Non aveva mirato a niente, e quell'immensa lama aveva fatto a pezzi lui. Sì, ormai era inutile. Per quanto si sfor-zasse, le note continuavano a volare via, in cielo, sopra quella piazza, lontano da tutti.

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